lunedì 24 marzo 2008

EUGENIO MONTALE - 1^ e 2^ lezione


Vita: antologia 3c p.146

IL PENSIERO

“ L’argomento della mia poesia è la condizione umana in sé considerata; non questo o quell’avvenimento storico….” Così Montale parlava di sé in un’intervista del 1951.

Egli si interroga sulla condizione di isolamento dell’individuo nel mondo contemporaneo, sul contrasto tra l’esistenza dell’uomo e lo scorrere della realtà naturale e storica.

Montale si mette alla ricerca di un "varco" che metta in comunicazione l'uomo, la sua vita individuale con ciò che sta succedendo nella realtà per poter uscire da una condizione di isolamento e di esclusione.

La prima poesia, scritta nel 1916, che mette in evidenza la condizione umana è "Meriggiare pallido e assorto" (antologia 3c p.148).


L'ITINERARIO POETICO


Il punto di partenza dell'itinerario poetico di Montale è segnato dalla raccolta "Ossi di seppia",

uscita nel 1925 (anno delle leggi fascistissime che segnano anche il fallimento dell'intellettuale, del poeta e delle possibilità conoscitive del reale).

L'osso di seppia: è una conchiglia che si forma all'interno della seppia, un mollusco marino; dopo la morte della creatura marina, che degrada le carni ,è l'unico elemento che rimane e diventa duro ma fragile, bianco e prosciugato. Montale ne fa il simbolo di ciò che nella vita è duraturo ed essenziale, di ciò che racchiude in sè il significato più profondo delle cose.
In questa raccolta Montale testimonia la crisi spirituale dell'uomo moderno in un mondo che pare sul punto di sgretolarsi e dissolversi.
Nella poesia "Spesso il male di vivere ho incontrato"(antologia 3a p.95), testimonia l'incapacità dell'uomo di comunicare. E' il male dell'essere che ci impedisce di avere delle certezze, di conoscere la realtà e noi stessi. All'uomo non rimane altro che accettare in modo lucido e consapevole la propria condizione di angoscia e di sconfitta; l'unica alternativa alla sofferenza, che tormenta tutti gli esseri e che si manifesta nelle cose più comuni, è una posizione di distacco e di indifferenza, il rifiuto di lasciarsi coinvolgere sentimentalmente nella pena. Nasce così la divina indifferenza come unico modo per liberare l'uomo dai limiti della sua condizione dolorosa facendone quasi una divinità.
Nella poesia "Non chiederci la parola" (fotocopia), esprime, invece, il malessere e l'impotenza dell'intellettuale e della cultura che sa di aver perso i propri punti di riferimento storico e le proprie basi conoscitive. Il poeta può definire solo una condizione negativa dell'esistenza per cui l'essere dell'uomo può essere colto nel suo non essere, la parola del poeta parla solo per negare i contenuti della vita e della storia. Dai versi di questa poesia derivò una lezione etica per tutta una generazione che per molti si tradusse in azione politica contro il fascismo.
A questo proposito, non bisogna dimenticare che Montale, proprio nel 1925, firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti che esprime un netto dissenso, civile e politico, nei confronti della dittatura e che lo porterà ad un'esistenza appartata durante il fascismo ma anche ad assumere, anche in seguito, un atteggiamento di distacco verso ogni forma di partecipazione politica attiva, considerate indifferenti ed estranee rispetto all'impegno intellettuale e poetico. Ciò viene testimoniato dalla poesia "Piccolo testamento"(fotocopia)scritta nel 1953 e che fa parte della raccolta "La bufera e altro".

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